.°.Matrimoni e Divorzi a Roma.°.

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.+*Koori no Zyooo*+.
view post Posted on 6/10/2008, 13:15




A Roma le ragazze si sposavano molto presto: a dodici anni potevano già essere considerate da marito. Probabilmente, questo accadeva quando la giovanetta aveva la prima mestruazione. A quel momento il padre si dava da fare per sistemarla con un buon matrimonio.
Anche nella Roma antica era il padre, il “pater familias” o, se questi fosse morto, il suo successore – zio, fratello maggiore o, comunque, il più vecchio maschio della famiglia – a decidere chi essa dovesse sposare. Nessuna ragazza poteva scegliersi il marito che le piaceva. Così molto spesso essa si trovava maritata a qualche amico del genitore, molto più vecchio di lei. Altre volte, però, per contrarre un certo numero di interessanti legami sia politici che economici il novello sposo poteva anche essere qualcuno appena più vecchio di lei il che voleva dire un ragazzo sui sedici anni: probabilmente un giovane che si fosse appena raso la sua prima barba e che, raccoltala in un bel cofanetto, l’avesse offerta su l’altare domestico dei Lari.
Nonostante tutto spesso questi matrimoni erano un successo. Quando i due sposi erano giovanissimi era l’amore stesso a spingerli l’uno nelle braccia dell’altro dopo di che, come si legge nelle favole, vissero per sempre felici e contenti. Nel caso di mariti molto più vecchi, la giovane sposa impressionata dal sapere e dalla saggezza del consorte, passava la sua vita ad ammirarlo. Se poi venivano figli, i legami si stringevano sempre di più e divenivano stabili.
Bisogna tuttavia tenere a mente che in quei tempi era facile morire. Le ragazze generalmente morivano di parto e gli uomini, giovani e non più giovani, cadevano in guerra, nelle lotte politiche o restavano uccisi in vari duelli risse e via dicendo. Spesso era la ragazza a restar vedova, e, a quel punto, secondo una legge proclamata da Numa, prima di poterla risposare dovevano passare almeno 10 mesi: questo era fatto per potersi assicurare che la giovane non fosse rimasta incinta e che non si finisse per accollare al nuovo marito un figlio non suo. Comunque appena scaduto questo periodo di "lutto", essa veniva considerata libera e il “pater familias” o chi per esso, poteva trovarle un buon marito e possibilmente ricco. É vero che tutti ammiravano la sposa affranta che rifiutava di risposarsi e che veniva definita “univira”, ma nella vita di tutti i giorni vedovi e vedove si risposavano al più presto possibile e a Roma la danza dei matrimoni fu sempre molto vivace.
Naturalmente come sempre la scelta del marito veniva fatta dal “pater familias” e la ragazza non veniva mai consultata. Diversamente andava per i maschi i quali potevano liberamente scegliersi le mogli che più loro aggradavano. Se poi, nel frattempo, il pater era venuto a mancare e il giovane ne aveva assunto la carica, nessuno poteva più metterci bocca. Insomma era in questo modo che le coppie si formavano e tutto sommato le cose non andavano poi così male. Per quanto strette queste regole funzionarono bene e per molto tempo tutti ne furono contenti.
Naturalmente nella famigli romana la donna era sottomessa al marito ed al suo “pater familias”. Con il matrimonio religioso che implicava il passaggio in “manus” essa veniva passata da una famiglia all’altra. D’altra parte come sua moglie veniva tenuta in alta considerazione e, oltre tutto, dopo il matrimonio essa godeva di una maggiore libertà e otteneva la stessa posizione sociale del marito. Inoltre la moglie romana era realmente la regina della sua casa e maggiormente veniva rispettata se riusciva mettere al mondo quei figli maschi che avrebbero assicurato la sopravvivenza della stirpe. Oltre poi a tutto questo, dato che i Romani erano monogami, essa non soltanto era la padrona della casa, ma ne sarebbe sempre stata la sola ed unica regina. I Romani potevano avere una moglie sola e ne avevano solo una per volta.
Il matrimonio romano era però diverso da nostro matrimonio cristiano, perché a Roma esso non veniva considerato indissolubile. Per i Romani non vi erano dichiarazioni del tipo “finché morte non ci separi”; per essi il matrimonio durava soltanto fintanto che sia marito e moglie volevano che durasse. Quando questa loro volontà cessava, il matrimonio era disciolto.
Il divorzio, a Roma, veniva sbrigato rapidamente e in famiglia. ma naturalmente non era praticabile per un subitaneo capriccio o perchè l'uomo avesse trovato una donna più "conveniente". O per lo meno, lo poteva anche fare, ma in questo caso si sarebbe incorso in pene pecuniarie, la dote sarebbe stata subito da restituire, e probabilmente si sarebbe incorso nella generale disapprovazione. Perciò, quando invece era proprio questo il motivo del divorzio, si cercava sempre di nascondersi dietro un paravento di scuse e si tentava di trovare una qualche ragione valida da offrire ai concittadini ed all’indignata consorte. Insomma si doveva riuscire a inventare qualcosa facile da inghiottire, qualcosa che si potesse presentare a un consiglio formato dai membri della famiglia e dai suoi più cari amici riuniti per decidere se l'uomo avesse o non avesse ragione. Se il consiglio era favorevole al divorzio, il matrimonio era definitivamente e improrogabilmente sciolto e i due erano liberi. Questo significava che, anche se nel rito romano lo sposo prendeva la moglie per “la buona e la cattiva sorte” e anche se gli sposi promettevano di essere "soci in prosperis dubiisque rebus", nessun marito arrivava a questi estremi e a Roma la danza dei matrimoni e divorzi era sempre molto vivace.
Anche le donne potevano divorziare, ma per esse le ragioni dovevano essere molto più gravi, Ad esempio l’adulterio del marito non era considerato come una ragione valida per chiedere lo scioglimento del vincolo: andare a letto con una procace schiava, o un grazioso schiavetto o, persino, con qualche amica della moglie erano cose che le donne dovevano accettare con indifferenza e soprattutto con un grazioso sorriso. Prima che una donna potesse chiamare in aiuto la sua famiglia e liberarsi del non più amato consorte essa doveva almeno farsi trovare coperta di botte e nera di lividi ed avere così le prove degli spietati maltrattamenti a cui la sottoponeva lo spietato consorte. Solo allora il suo vecchio “pater familias” poteva accorrere e riportarsela via a casa. Anche in questo caso era facile di liberarla dall’indesiderato vincolo e metterla in condizione di contrarre un altro matrimonio.
Oltre questi divorzi c’era, però, un’altra legge che minacciava il legame matrimoniale: essa consisteva nel fatto che perché il matrimonio fosse valido occorreva che la coabitazione della coppia continuasse senza interruzioni. Nel caso che per una qualsiasi ragione questa cessasse il matrimonio era considerato disciolto. Ovviamente se questa legge avesse continuato ad essere praticata moltissimi matrimoni di sposi che non volevano assolutamente divorziare sarebbero stati dichiarati sciolti. A rompere il loro legame sarebbe bastato il fatto che il marito fosse mandato in qualche lontano posto a combattere una guerra o a gestire qualche carica. Questa legge, valida e giusta fino a che Roma era una piccola repubblica con limitati confini, non lo fu più quando Roma estese le sue frontiere e divenne un grande impero: gli uomini erano spesso costretti ad assentarsi e questo costituiva una grave minaccia per le loro famiglie.
Tra l’altro quello che rendeva ancora più grave questa minaccia era che gli uomini che venivano inviati guidare gli eserciti o a governare le lontane province erano la elite di Roma e facevano parte delle grandi famiglie romane. Insomma erano queste grandi famiglie romane, la spina dorsale della Repubblica prima e dell'Impero poi, ad essere in pericolo. Si rimediò però subito alla legge stabilendo che per mantenere il matrimonio bastava che i due sposi manifestassero in pubblico e di fronte a tutta la loro società la fermezza del loro legame. Poi per restare sposati bastava che la moglie continuasse ad abitare nella casa del marito, mantenesse il contegno adatto alla sua condizione e si facesse sempre rispettare.
Vi furono così famiglie sane e salde. Comunque non tutte e alla fine della repubblica il divorzio era diventato molto comune. Sia uomini che donne divorziavano spesso e volentieri e per essi la maggiore possibilità a facilità di divorziare dipendeva anche dal tipo di matrimonio che avevano contratto.
A Roma infatti vi erano vari tipi di matrimonio, tutti validamente riconosciuti e tutti abilitati a procreare legittima prole. Il primo era la “confarreatio”, il matrimonio religioso legato a regole molto strette, con cui la sposa entrava in “manus” e diveniva un effettivo membro della famiglia proprio come se in essa fosse nata. Naturalmente sciogliere questo matrimonio non era una cosa semplice, bisognava compiere un’altro rito che si chiamava “disfarreatio” e per quello che ne sappiamo si trattava di una cerimonia complessa e alquanto spiacevole. Durante la “disfarreatio” la sposa che entrando nella famiglia del marito aveva dovuto adottare i suoi culti e la sua religione familiare (culto dei morti, deità familiari e preghiere particolari.) doveva abiurarvi, e Fustel de Coulange, un eminente storico ed accademico francese del XIX secolo, precisò che doveva farlo con formule “strane, cattive, odiose e spaventose”. Oltre questo perché la sposa fosse di nuovo svincolata da quel matrimonio c’erano ancora ulteriori formalità da compiere. Per questo tra i Romani questo tipo di matrimonio era praticato quasi esclusivamente dalla casta sacerdotale, ma neanche da tutti questi, e venne sempre più abbandonata. Infatti, quando nella prima metà del I sec. a. C., Tiberio dovette insignire ad una certa carica sacerdotale un uomo che fosse nato da una coppia legata con la “confarreatio”, in tutta Roma trovò soltanto tre patrizi che rispondevano a questi requisiti.
L'altro tipo di matrimonio era la “coemptio” che corrispondeva a quello che oggi è il nostro matrimonio civile, un legame più facile da sciogliere. Anche questo era però un rito molto antico e venne pian piano abbandonato. All’epoca di Cicerone sussisteva soltanto la “coemptio fiduciae causae”.
Poi vi fu il matrimonio per “usus” molto simile alla nostra coabitazione, tenendo però in mente che, se esso durava più a lungo di un anno, questa coabitazione si trasformava automaticamente in un vero e proprio matrimonio, il che per la sposa voleva dire che da un momento all’altro essa poteva trovarsi in “manus” del marito. Ora questo comportava che o in mano ad esso o al suo “pater familias” finisse anche tutto il patrimonio della povera donna ed essa si riducesse senza un soldo. Era comunque facile evitare questa iattura: era sufficiente interrompere per qualche giorno la coabitazione. Per quel periodo di almeno tre notti , che veniva chiamato “trinoctii usurpatio”, la sposa andava a dormire sotto un altro tetto. Poi poteva tranquillamente riprendere la coabitazione senza il rischio di trovarsi sposata. Ovviamente per sciogliere questo legame bastava che la sposa si allontanasse dalla casa e non vi facesse più ritorno.
 
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Irochesa
view post Posted on 24/2/2009, 20:52




^_^ Vorrei aggiungere che il marito disponeva del potere di freddare la moglie image nel caso di adulterio (almeno in età regia) e se trincava image .

Difatti il vino, essendo prodotto dalla fermentazione, contiene un principio di vita che ai tempi era considerato diverso da quello del marito.
Azz adesso chi avrà più il coraggio di bersi una birra image in compagnia della nostra dolce metà? image :huh: image

Edited by .-°Isis°-. - 25/2/2009, 11:42
 
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1 replies since 6/10/2008, 13:15   98 views
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