La nascita della tragedia, Nietsche

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view post Posted on 6/3/2009, 08:56




Friederich Nietzsche divenne noto al pubblico con il suo libro d'esordio La nascita della tragedia: analisi particolarmente originale della storia greca, del contesto in cui la tragedia nacque e si sviluppò e del suo progressivo declino. E' la vicenda dell'iniziazione della cultura europea nel XIX e nel XX secolo.
l libro ebbe la sua origine all'epoca della guerra franco-tedesca del 1870-71.
Queste sono le sue tesi:
Ogni vera arte è o apollinea o dionisiaca o risultato di entrambe: si tratta di impulsi o tendenze artistiche antitetici, dalla cui modulabile combinazione scaturisce in ogni tempo l'opera d'arte. Apollineo e dionisiaco costituiscono gli unici veri impulsi artistici: l'arte apollinea per eccellenza è la scultura, quella dionisiaca la musica (almeno nelle sue forme più elevate). La tragedia è il classico esempio di perfetta sintesi dei due impulsi.
Tuttavia apollineo e dionisiaco trovano espressione anche a livello elementare nel sogno (apollineo) e nell'ebbrezza (dionisiaco): nel sogno il mondo viene plasmato dal soggetto, nell'ebbrezza è invece il soggetto che viene plasmato dalla natura. In questo senso l'arte apollinea è gioco con il sogno, quella dionisiaca gioco con l'ebbrezza, con l'estasi. L'artista apollineo gioca con la realtà nella propria ideazione creativa, gioca con il sogno nella propria traduzione produttiva. L'artista dionisiaco, invece, da un lato si abbandona all'ebbrezza, dall'altro si spia in quello stato: così nella sua creazione si intrecciano sobrietà e ebbrezza.
Ma, allora, Apollo è davvero il dio solare della forma e della bellezza, dell'equilibrio e della armonia; Dioniso, invece, il dio della perdita di ogni individuazione e dell'esperienza mistica della coalescenza nel tutto della natura.
La fase più antica della cultura greca (omerica) si sviluppò sotto il dominio esclusivo dell'apollineo (nell'epica, appunto). Il dionisiaco era allora appannaggio dei culti selvaggi del Vicino Oriente: la loro progressiva penetrazione in Grecia produsse la reazione ancora riscontrabile nell'irrigidimento apollineo dell'arte dorica. Dal compromesso scaturì il culto greco di Dioniso, raffinato rispetto ai precedenti asiatici, e simbolicamente collegato a quello di Apollo proprio nel centro della venerazione apollinea, a Delfi.
Con il culto di Dioniso si diffuse potentemente in Grecia anche la musica. Il flauto e il ditirambo caratterizzarono il culto del nuovo dio: in alternativa alla musica apollinea, eseguita con la lira, e al suo ritmo, la musica dionisiaca introdusse la potenza emotiva della tonalità, della melodia e della armonia.
La religione dionisiaca fu una religione misterica: al centro del suo culto si ritrovano la rievocazione della dolorosa lacerazione della unità primordiale nella molteplicità propria della individuazione e la aspirazione degli iniziati alla sua ricostituzione, nella perdita della personale identità. Così nel ditirambo la potenza della musica dionisiaca, coniugata ai movimenti della danza, ne riproduceva simbolicamente agonia e gioia.
La religione olimpica suggerisce una piena adesione e fruizione della vita, in tutti i suoi aspetti, a dispetto di preoccupazioni d'ordine morale o della spiritualità propria di una religione della trascendenza. Tuttavia ai Greci non sfuggiva il volto orrido dell'esistenza: la verità dionisiaca rivelava lo sfondo tragico della vita, la irrisolta contraddizione, il dolore e l'eccesso che la caratterizzano, come maledizioni della individuazione. Ne sono ancora evidenze i risvolti oscuri della mitologia e la sapienza di Sileno. In questo senso la religione olimpica (con l'arte a essa connessa) incarnò la reazione a quello strato di credenze pre-elleniche: il terrore titanico precede la vittoria della gioia olimpica.
Il mondo olimpico fu insomma la creazione dell'istinto apollineo per la bella illusione: il terrore richiedeva il superamento nella gioia, allo scopo di rendere sopportabile l'esistenza.
Così nel mondo greco arcaico la tendenza apollinea risultò dominante, coprendo con il gusto per la misura e l'equilibrio ogni accenno di eccesso o di deformità, come pure ogni spinta alla esagerata autoaffermazione, riferibili in qualche modo allo scenario preellenico. E la successiva diffusione del culto di Dioniso produsse la risposta dorica. La tragedia attica costituì una ulteriore fase, di correlazione tra le due tendenze.
La tragedia nacque dalla lirica. Essa a sua volta si era delineata come genere con Archiloco (VII sec. A.C.). La sua natura non sarebbe stata soggettiva, come tradizionalmente accettato: in essa, come in ogni vera arte, si deve invece riscontrare la presenza della oggettività, come azzeramento della volontà individuale. Il lirico è in primo luogo un compositore e, in quanto tale, artista dionisiaco che abbandona la propria soggettività individuale per identificarsi con la vera realtà metafisica e esprimerla nella musica. Sotto l'influenza apollinea egli riesce a simbolizzare la musica in idee e linguaggio specifici. La musica precede l'idea.
Il contributo particolare di Archiloco fu quello di introdurre il canto popolare in letteratura: come nella lirica, anche in quel caso l'elemento dionisiaco (musica) risulta originario rispetto alla simbolizzazione verbale (apollinea).
La tragedia greca avrebbe avuto originariamente, secondo la tradizione che risale a Aristotele, una connessione con il culto di Dioniso: allestita all'interno delle celebrazioni dionisiache ad Atene, sarebbe sorta dal ditirambo dionisiaco. In questo senso un ruolo centrale avrebbe avuto il coro tragico, cui si riduceva in origine l'intera recita. Il coro rappresentava il corteo dei seguaci del dio, che, nell'estasi, si coglievano trasformati in satiri. La sua funzione primitiva sarebbe dunque stata quella di esprimere con quelle figure semibestiali il sentimento secondo cui in fondo alle cose la vita è, a dispetto di ogni mutare delle apparenze, indistruttibilmente potente e gioiosa. Alla presenza di quel coro la comunità poteva riporre la propria veste civile e recuperare il senso dell'unità con il tutto della natura: una esperienza consolatoria resa necessaria dall'estasi dionisiaca, con la quale si era gettato uno sguardo sull'essenza dolorosa dell'esistenza. I Greci trovarono nella mediazione artistica del coro satiresco il riscatto dalla nausea radicale della ebbrezza dionisiaca.
Nella loro condizione estatica i seguaci di Dioniso si vedevano trasformati in satiri: questo sarebbe dunque stato il punto di partenza del dramma tragico. A differenza di quella del poeta epico, la visione del coro non implicava distacco e esteriorità, ma piena partecipazione e fusione con le figure dell'estasi. Tuttavia tale visione dionisiaca necessitava di una seconda esperienza visionaria, per poter realizzare la scena originaria del dramma: la rappresentazione apollinea del dio da parte di un attore, che affiancava il coro. Ciò comportò anche la ulteriore frattura nel seguito degli adoratori di Dioniso, tra coro e spettatori. Il coro aveva allora il compito di commuovere gli spettatori, così che essi non vedessero un attore in scena, ma la figura visionaria che l'attore intendeva rappresentare. In questo lo spettatore doveva ancora partecipare della visione del coro.
La tradizione antica attesta il nesso tra le prime forme tragiche e i miti relativi alle sofferenze di Dioniso, il suo sbranamento a opera dei Titani e la sua rinascita. La dottrina misterica alla base della tragedia consiste appunto in quanto alluso nel mito: l'unità fondamentale di tutte le cose, la individuazione come colpa, la speranza della reintegrazione nell'unità.
La accettazione del culto pubblico di Dioniso nella seconda metà del VI sec. A.C. coincide con lo sviluppo del coro ditirambico in vero e proprio dramma: così anche la sapienza dionisiaca finì per servirsi della mitologia olimpica per esprimere la propria visione del mondo, intrecciando il mito dionisiaco con quello della tradizione epica. Dioniso rimaneva tuttavia l'unico eroe originario, sempre in scena, dietro la maschera dei diversi eroi della mitologia popolare olimpica. In questo senso lo scadimento della religiosità olimpica trovò nella musica dionisiaca uno strumento di catarsi, la sua corrente trivializzazione si riscattò nella profondità del pessimismo dionisiaco.
 
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