La musica nell'antica Grecia

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.-°Isis°-.
view post Posted on 17/3/2009, 16:03




L'elemento di continuità tra il mondo della civiltà musicale ellenica e quella dell'Occidente europeo è costituito principalmente dal sistema teorico greco, che fu assorbito dai romani e da essi trasmesso al medioevo cristiano. Il sistema diatonico, con le scale di sette suoni e gli intervalli di tono e di semitono, che sono tutt’ora base del nostro linguaggio musicale e della nostra teoria, è l'erede e il continuatore del sistema musicale greco. Altri aspetti comuni alla musica greca e ai canti della liturgia cristiana dei primi secoli dell'era volgare furono il carattere rigorosamente monodico della musica e la sua stretta unione con le parole del testo.
Nel periodo arcaico domina, in Grecia, una concezione della musica che è di tipo magico-incantatorio. Ricordiamo che, per i Greci, la magia era un estremo tentativo di controllare le forze naturali che si presentavano, con violenza, all'uomo primitivo. Fu in questo periodo che nacquero racconti mitologici che fanno riferimento al potere psichico della musica.
La forte presenza della componente sonora nella Grecia arcaica viene testimoniata dal fatto che quasi tutti i miti greci hanno una dimensione sonora (ad esempio, i miti relativi alla nascita degli strumenti, ad esempio il mito della ninfa Siringa, innamorata di Pan, la quale, per sfuggire a quest’ultimo, venne trasformata in canna. Pan, per conservare questo legame con la ninfa, tagliò queste canne facendone il suddetto strumento musicale).
Lo strumento associato a questa dimensione magico-incantatoria fu l'aulos. Era uno strumento a fiato ad ancia doppia, simile al nostro oboe, sacro al culto di Dioniso, dio del vino, dell'ebbrezza e dell'incantamento. Una striscia di cuoio girava intorno al capo dell'esecutore, aiutandolo a fermare, tra le labbra, le imboccature dell'aulos doppio, il diaulos, strumento più diffuso dell'aulos semplice.
Un altro strumento utilizzato in Grecia fu la cetra, strumento utilizzato, generalmente, per accompagnare i racconti delle leggende degli dei e degli eroi. La lira o cetra era ritenuta e sacra al culto di Apollo, il dio della bellezza e simboleggiava una diversa idea della musica, molto più razionale di quella associata al dio Dioniso. Era formata da una cassa di risonanza dalle cui estremità salivano due bracci collegati in alto da un giogo. Tra la cassa e il giogo erano tese le corde: dapprima 4, poi 7 (merito attribuito erroneamente al poeta-musico Terpandro), poi un numero maggiore. Si suonava pizzicando le corde con un plettro solitamente d'avorio. Varietà della lira erano la forminx degli aedi, la pectis lidia, la grande magadis.
C’è un mito che dimostra la superiorità che acquistò, per i greci, la poesia accompagnata dalla cetra. Si tratta del mito di Atena, dea della sapienza, la quale gettò via l'aulos perché le deturpava il viso, scegliendo la cetra. C’è, quindi, quest’idea della superiorità della musica razionale rispetto a quella irrazionale. Ciò nonostante, vengono riconosciute entrambe le dimensioni e associate una ad Apollo, l'altra a Dioniso.
Altri strumenti erano la siringa, simile al flauto dolce; il flauto di Pan, formato da 7 canne disposte una vicina all'altra e di altezza degradante; la salpinx o tromba. Tra gli strumenti a percussione si ricordano i tamburi, i cimbali (gli attuali piatti), i sistri e i crotali.
L'esistenza della notazione risale solo al IV secolo a. C. La scrittura musicale greca serviva solo ai musicisti professionisti per loro uso privato. C’erano due tipi di notazione:
La notazione vocale, che impiegava, con poche varianti, i segni dell'alfabeto greco maiuscolo;
La notazione strumentale che impiegava segni dell'alfabeto fenicio e usati diritti, inclinati o capovolti;
Le composizioni che ci sono pervenute non raggiungono tutte insieme l'estensione uno dei pezzi più brevi di Bach. Comunque sia, tra i pochi documenti pervenutici in cui vengono utilizzati le due notazioni ricordiamo:

Un frammento del primo stasimo della tragedia Oreste di Euripide, scritto su papiro;
Due inni delfici, in onore di Apollo, uno in notazione vocale, l'altro in notazione strumentale, entrambi incisi su pietra;
Tre inni di Mesomede di Creta, dedicati al Sole, a Nemesi e alla musa Calliope, pubblicati da Vincenzo Galilei alla fine del ‘500.
Infine l'Epitaffio di Sicilo, inciso su un ceppo funerario è l'unico completo ma brevissimo.
Alla fine del periodo arcaico comparve il primo musico realmente esistito, Terpandro, a cui fu riconosciuto il merito di aver raccolto, classificato e denominato le melodie in base alla loro origine geografica (una melodia che veniva dalla regione dorica venne chiamata dorica, dalla regione frigia, frigia…), nonché di aver organizzato le melodie in funzione dei testi poetici. Queste melodie vennero chiamate Nomoi (termine che, in greco, significa legge) perché il musico doveva utilizzarle in funzione del tipo di testo che metteva in musica. In questa fase fu decisiva, nell'ambito dell'esecuzione musicale del testo poetico, la funzione della memoria, considerata la madre delle muse, nonché madre delle arti perché aveva un ruolo fondamentale per la sopravvivenza e la trasmissione della cultura.
Verso la fine del periodo arcaico cominciò a svilupparsi una lirica monodica, affidata ad una voce sola ed eseguita in contesti conviviali. Monodiche furono, ad esempio, le intonazioni con cui si declamavano i poemi omerici e la lirica delle epoche alessandrina e romana.
In alcune città come Sparta, invece, ove si sviluppò un forte senso civile e si diede importanza alla dimensione collettiva della vita, si sviluppò una produzione di musica corale, affidata ad eventi celebrativi pubblici sia religiosi che laici. Forme della lirica corale furono: il peana in onore di Apollo, il ditirambo in onore di Dioniso, l'imeneo, canto di nozze, il threnos, canto funebre, il partenio, canto di fanciulle, gli inni in onore degli dei e degli uomini e gli epinici in onore dei vincitori dei giochi panellenici. Nella lirica corale si realizza pienamente l'unione delle tre arti della mousikè, perché alla poesia si aggiunge la danza (il coro si muoveva coreograficamente durante l'esecuzione dei canti corali).
Il ritmo di questi canti era lo stesso della poesia. Il coro greco cantava all'unisono, utilizzando il procedimento dell'eterofonia: veniva cantata un'unica melodia, ma ad altezze diverse. Massimi poeti e musicisti dei canti corali furono Stesicoro e Pindaro.
Nel periodo classico, la prima grande novità fu la nascita della tragedia.
La disposizione circolare del coro greco e l'organizzazione dei testi dei ditirambi, anche dal punto di vista metrico, fu introdotta da Arione di Metimna. Successivamente, dal coro si distaccò un corifeo (capo del coro) che raccontava le gesta del dio Dioniso e di altri dei. Il racconto del corifeo si alternava agli interventi del coro. Il salto verso il dramma, cioè verso la rappresentazione, avvenne con il passaggio dalla struttura lirica (quando il corifeo raccontava una storia all'uditorio) a quella drammatica (quando il corifeo diventò attore, impersonificando Dioniso o un altro dio). Secondo la tradizione, questa trasformazione fu operata da Tespi attorno al 534 a.C..
Il primo studioso di musica da un punto di vista teorico e tecnico, nonché il primo musicologo dell'antichità viene considerato Aristosseno di Taranto. Costui individuò alla base del sistema musicale greco il tetracordo, una successione di quattro suoni discendenti compresi nell'ambito di un intervallo di quarta giusta. I suoi estremi erano fissi, quelli interni erano mobili. L'ampiezza degli intervalli di un tetracordo caratterizzava i 3 generi della musica greca: diatonico, cromatico, enarmonico. Il tetracordo di genere diatonico era costituito da 2 intervalli di tono ed uno di semitono ed era il genere più antico e diffuso. Il tetracordo di genere cromatico era costituito da un intervallo di terza minore e 2 intervalli di semitono; il tetracordo di genere enarmonico era costituito da un intervallo di terza maggiore e 2 micro-intervalli di un quarto di tono. Nei tetracordi di genere diatonico la collocazione dell'unico semitono, distingueva i tre modi: dorico, frigio e lidio.Il tetracordo dorico aveva il semitono al grave ed era di origine greca. Il tetracordo frigio aveva il semitono al centro ed era di origine orientale, come il tetracordo lidio in cui il semitoni stava all'acuto. I tetracordi erano, di solito, accoppiati a due a due; potevano essere disgiunti o congiunti. L'unione di due tetracordi formava un'armonia. Diazeusi (= disgiunzione) era chiamato il punto di distacco fra due tetracordi disgiunti; sinafè(= congiunzione) il punto in cui si univano due tetracordi congiunti. Se in ogni armonia si abbassava di un'ottava il tetracordo superiore, si ottenevano gli ipomodi (ipodorico, ipofrigio, ipolidio), che erano congiunti; congiunti erano anche gli ipermodi (iperdorico, iperfrigio, iperlidio), ottenuti alzando di un'ottava il tetracordo inferiore. Se ad un'armonia disgiunta si aggiungeva un tetracordo congiunto all'acuto, un tetracordo congiunto al grave e sotto a quest’ultimo una nota (proslambanòmenos), si otteneva il sistema tèleion (o sistema perfetto), che abbracciava l'estensione di due ottave. Esso fu elaborato nel IV secolo a. C. Il primo grande mutamento, nell'epoca classica, è il passaggio dai nomoi ai modi corrispondenti. Già in Sofocle i nomoi sono scomparsi. Con Euripide vi è la comparsa, accanto al genere diatonico, di due nuovi generi: cromatico ed enarmonico. In realtà quest’innovazione di deve a Timoteo di Mileto che fu il protagonista della rivoluzione musicale del V secolo, accompagnata dalla costruzione della lira con non più di sette o undici corde, proprio per consentire l'uso delle alterazioni. Questi generi sono di derivazione orientale. L'introduzione delle alterazioni introduce una sfumature, una carica espressiva molto più grande che nel genere diatonico. Questa è la ragione per cui Euripide utilizzò i generi enarmonico e cromatico. La sua tragedia aveva un'accentuazione espressiva delle passioni, esprimibile solo con i generi cromatico ed enarmonico. Altre novità nelle tragedia di Euripide sono:

Accanto ai cori cominciano ad essere messi in musica anche dei brani solistici, quindi possono esserci momenti in cui un personaggio canta da solo;
La rottura dell'intima relazione fra poesia e musica che si era avuta nella letteratura e nella musica greca fino a qual momento. Come si è detto, per tutto il mondo classico fino al V sec., la melodia era applicata al ritmo del metro poetico. Con Euripide avviene anche la frattura fra ritmo della musica e metro poetico;
I filosofi e gli intellettuali del tempo, dinanzi alla rivoluzione del V secolo, si posero in maniera differenziata, come desumibile dalla riflessioni di Platone e Aristotele, entrambi filosofi del periodo classico.
 
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