-->La scrittura maya<--

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view post Posted on 7/10/2008, 07:29




I Maya elaborarono un metodo di scrittura geroglifica e registrarono la storia, la mitologia e i riti in iscrizioni scolpite e dipinte su lastre di pietra o colonne, architravi, scalinate, o altri monumenti. Venivano inoltre scritti libri di carta ripiegata ottenuta dalle fibre di agave, contenenti informazioni di agricoltura, clima, medicina, caccia e astronomia. Nel 1549, sette anni dopo la parziale conquista degli Indios Maya dello Yucatàn, padre Diego de Landa arriva a Mérida, capitale dei territori. Si sforza con tutti i mezzi di estirpare le costumanze e le credenze del popolo che lo circonda, per convertirlo al Cattolicesimo. A tale scopo egli giunge a servirsi di un procedimento che ritiene efficacissimo: un gigantesco auto-da-fè, in cui vengono bruciati tutti i libri indigeni. La storia, la cultura, la tradizione di un popolo vengono in tal modo distrutte. Questo gesto inconsulto, irreparabile, sarà nonostante tutto minimizzato dal suo autore, che del resto non ne coglie la gravità. Nel 1566 padre de Landa redige la Relacion de las Cosas de Yucatàn. Egli riproduce nella sua opera certi glifi calendari e segni ancora in uso nello Yucatàn al tempo del suo ministero. Li ha visti disegnati nei libri "blasfemi" che ha fatto bruciare e ce ne fornisce la trascrizione. L'opera di distruzione di padre de Landa è stata purtroppo eseguita alla perfezione. Restano soltanto tre codici maya, tutti e tre scoperti in Europa, dove con tutta probabilità erano stati spediti da monaci o soldati al momento della conquista. Si tratta del Codex Dresdensis, del Codex Tro-Cortesianus e del Codex Peresianus. I codici consistono in lunghe strisce di corteccia di ficus, battute, impregnate di resina, poi ricoperte di un leggero strato di calce spenta sul quale sono dipinti glifi, cifre, immagini di dei e di animali, sempre con gli stessi colori: nero, giallo, verde, azzurro e rosso. Le strisce sono larghe circa venticinque centimetri , ma lunghe parecchi metri; esse venivano scritte prima su una e poi sull'altra faccia ed erano poi ripiegate a fisarmonica. Il Codex Dresdensis, il più prezioso, misura metri 3,50 di lunghezza e possiede 78 pagine. Appartiene alla biblioteca di Dresda dal 1739. Si tratta soprattutto di un trattato di astronomia, ma contiene anche numerosi oroscopi e alcune indicazioni sui riti. Proprio grazie a questo codice, E. Fostermann è riuscito a decifrare la struttura interna del calendario maya e del conto lungo. Il Codex Tro-Cortesianus è il più lungo (m 7,15). Conta centododici pagine e si trova alla Biblioteca Nazionale di Madrid. E' in sostanza un libro di divinazione, una sorta di promemoria usato dai sacerdoti indovini. Il Codex Peresianus è incompleto e in pessimo stato (m.1,45 di lunghezza).Possiede ventidue pagine. Tratta degli dèi dei katun e delle cerimonie relative alla successione di undici di tali katun. Appartiene alla Biblioteca Nazionale di Parigi. I glifi di questi codici sono identici a certi glifi che figurano sui monumenti del Petén e delle regioni adiacenti, nonché a quelli dell'opera di padre Diego de Landa. Grazie ad essi, si è potuta stabilire la stretta parentela culturale esistente tra i Maya delle terre del sud e i Maya dello Yucatàn. Il Popol Vuh, ovvero "Libro del Consiglio", scritto in lingua maya con caratteri latini nel XVI secolo, ci fornisce informazioni sulla religione, la mitologia, l'emigrazione, la storia dei Maya Quiché, i cui discendenti vivono tuttora sugli altipiani del Guatemala. E' un libro d'importanza capitale. Ma sono stati i Libri di Chilam Balam, resoconti in lingua maya scritti in caratteri latini nei secoli posteriori alla conquista spagnola, che ci hanno permesso di avere un primo ragguaglio storico dei Maya dello Yucatàn. Il loro contenuto è spesso oltremodo simbolico e contraddittorio. Ciononostante, lo studio dei monumenti e gli scavi archeologici eseguiti nelle città maya dello Yucatàn hanno confermato, o chiarito, numerosi passi di questi preziosi libri indios. Per lungo tempo la scrittura Maya, di antica origine, fu considerata un invenzione dello stesso popolo Maya, ma in realtà, dopo gli ultimi studi, è divenuto sempre più evidente che furono gli Olmechi, i vicini settentrionali dei Maya, a lasciare a questi in eredità la glifografia. Gli antichi stili di scrittura Maya erano due: uno monumentale e uno caratterizzato da glifi scritti a mano su carta di corteccia e pelle di daino. Entrambi gli stili, i segni di carattere ideografico, fonetico o misto, hanno presentato per lungo tempo una certa difficoltà di interpretazione.
La scrittura Maya è ideografica perché ogni carattere rappresenta un'idea astratta e comporta anche elementi di scrittura a tipo di rebus ; è pittografica e simbolica ma non sillabica, sebbene contenga un gran numero di elementi fonetici. Il complicato sistema di scrittura elaborato dai Maya e il fatto che essi lo ritenessero un dono sacro concesso dagli Dei a favore di pochi eletti e privilegiati, faceva si che la glifografia fosse gelosamente custodita da una ristretta élite dominante che aveva, secondo la tradizione, il potere di mediare tra le divinità e il popolo.
Le iscrizioni Maya erano composte da file di segni (glifi) solitamente disposti in colonne verticali che andavano quindi lette dall'alto in basso o con un sistema di alternanze tra una fila e l'altra che variava secondo che le linee di segni presenti sullo stesso monumento fossero in numero pari o dispari. Ciascuno dei glifi poteva essere composto da un elemento principale e da una serie di affissi a lui collegati in modo da formare un complesso disegno generalmente iscrivibile in una sagoma quadrangolare od ovale. Una regola grafica che rese le iscrizioni Maya particolarmente eleganti e ordinate. Uno dei problemi principali che si trovavano ad affrontare i decifratori è che i Maya potevano scrivere ogni parola del loro linguaggio in modi diversi senza che questo ne alterasse il significato. Le diverse possibili soluzioni hanno creato notevoli difficoltà agli studiosi ma, in alcuni casi si sono dimostrate addirittura utili. E' noto infatti che un elemento pittografico della loro scrittura poteva sostituire una sillaba e grazie a ciò è stato possibile identificare i simboli fonetici che accompagnavano la figura conosciuta. Ci sono poi i glifi che hanno significati diversi secondo il contesto in cui sono inseriti ed altri che avevano la medesima pronuncia, ma diverso significato.
Questa esclusiva nell'uso della scrittura ci può portare alla memoria un carattere tipico di altre civiltà della Mezzaluna Fertile, sviluppatesi durante lo stesso periodo storico, che elaborarono un tipo di scrittura per molti versi simile a quella Maya, con l'uso di caratteri geroglifici e cunei formi; per caratteri e scopi la scrittura Maya risultava avere pure molte affinità con le scritture orientali dell'India e della Cina. Un'altra civiltà, quella Fenicia, ebbe il vanto, rispetto al tipo di scrittura utilizzato dalle civiltà soprannominate, di aver inventato l'alfabeto fonetico; un sistema piuttosto pratico nato dalla necessità di utilizzare un mezzo semplice per commerciare e comunicare tra gli uomini. Possiamo tuttavia trovare una fondamentale differenza tra la scrittura Fenicia e quella Maya. Quest'ultima era nata con lo scopo di tramandare dei dati cronologici , i nomi e gli influssi degli dei che presiedevano sul tempo, o ancora le scoperte di carattere astronomico, e successivamente eventi legati alla storia, ma non per scopi commerciali (infatti la glifografia non fu mai usata per stilare contratti); i Fenici invece, perfezionarono la scrittura e inventarono l'alfabeto fonetico proprio per soddisfare la necessità di registrare con esattezza e con un sistema pratico e veloce tutte le transazioni commerciali.
 
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